12 maggio 2012
Ridateci la fase uno
Il governo Monti è entrato nella fase due. Già da qualche tempo. Ma è una fase due particolare. Qui non c’entra la crescita dopo il rigore, lo sviluppo dopo le tasse. L’economia, almeno questa volta, resta fuori della porta. La fase due in questione riguarda il rapporto dell’esecutivo, e del presidente del consiglio in particolare, con l’opinione pubblica.
C’era stata la fase uno, quella dell’innamoramento, dell’evidente apprezzamento del Monti’s style così diverso – e proprio per questo ben accolto – da quello del suo predecessore, della fiducia nella competenza e nell’uso misurato di parole e promesse. Il professore in loden che gira in macchina rigorosamente italiana, che effonde sobrietà da ogni poro, che mostra di non temere corporazioni e partiti, che sta lontano dalle ritualità di una politica stanca e priva di idee così come il fuoco dall’acqua piace subito ai più. E i sondaggi d’opinione doverosamente registrano: primo dicembre 2011, indice di gradimento al 61%.
Perfino quando cominciano ad arrivare decisioni amare e provvedimenti che nessun altro sarebbe riuscito a far digerire al parlamento e ai cittadini l’ex numero uno della Bocconi riesce a reggere l’urto e a ottenere applausi invece che fischi. Lo aiuta l’arcinoto spread che scivola verso quota 300 facendo dimenticare l’allarmante “vetta 570” degli inizi di novembre: i quotidiani fanno un po’di calcoli e deducono che il prof ha già fatto risparmiare agli italiani una decina di miliardi. La cura montiana fa male ma pare guarire il malato.
Ad un certo punto, però, la storia cambia, il trend s’inverte. C’è un momento, una data a cui risalire? Qualcuno pensa che si possa indicare la riunione del consiglio dei ministri in cui il governo decide di varare una riforma del mercato del lavoro che scontenta tutti e, soprattutto, mette in grande allarme centinaia di migliaia di lavoratori sopravvissuti – almeno fino ad allora – alla decimazione delle aziende e alla peste nera della crisi economica che spazza 500mila posti di lavoro in un anno. Forse il d-day non sarà stato quello. E forse nemmeno c’è un d-day. Però la sensazione di un cambiamento diventa sempre più palpabile. Per arrivare ai giorni nostri in cui, ha scritto di recente su questo giornale Paolo Natale, «la valutazione positiva dell’operato del governo è scesa sotto l’asticella simbolica del 50 per cento ed è ormai prossima al 40 con una montante schiera di cittadini insoddisfatti di molti degli interventi dell’esecutivo tecnico ».
Cosa è successo? Tante cose e nessuna buona. Aumenti di ogni tipo e in ogni campo: benzina, prodotti alimentari, bollette, tariffe autostradali, biglietti di bus e treni per non parlare delle addizionali Irpef. L’inflazione che erode il potere d’acquisto già ridotto dall’innalzamento impazzito dei prezzi. E poi c’è l’Imu incombente che, tra mille confusioni e modifiche, si capisce che porterà via a famiglie e piccole imprese centinaia se non migliaia di euro tra giugno e dicembre Per finire poi qualche parola dal sen fuggita dell’uno o dell’altro ministro, qualche strizzatina d’occhio di troppo a burocrati e manager con stipendi e pensioni da Paperon de’ Paperoni, qualche scivolata comunicativa come il bando d’acquisto di migliaia di auto blu.
A conti fatti, questo fiume di avversità poteva anche restare dentro gli argini di un giudizio non ancora mutato visto il brutto tempo che regna anchenegli altri paesi dell’Europa se, a dare la spinta finale non fosse sopraggiunto il dubbio, concreto, che la nuttata non era passata, che i forti sacrifici non avevano premiato, che il rischio per l’Italia di andare a gambe all’aria era tutt’altro che dissolto. Il solito spread, riacciuffando quota 400, si è preoccupato di avvertire del ricomparso pericolo.
Dopo la fase due ci sarà anche una fase tre? O Monti saprà rimettere indietro le lancette dell’orologio e tornare ai “bei tempi” di dicembre scorso? Ad oggi il rischio che la valutazione negativa dell’esecutivo salga ancora, facendo crollare ulteriormente gli indici di gradimento, è un fatto concreto perché non c’è un segnale che sia uno che indichi un prossimo futuro più sereno e tranquillizzante per cittadini e famiglie anzi, per voce del ministro Passera, non proprio uno qualunque, abbiamo sentito che è «a rischio la tenuta sociale».
Eppure servono quelli per riconquistare la fase uno e concludere che il governo tecnico è stato un successo. Non solo sobrietà e buone maniere.